Il Fellini Museum fa rivivere l’opera del grande maestro attraverso un’installazione sfidante sul piano tecnico per la grande varietà di contesti e di superfici su cui avviene la proiezione. Sfida superata grazie a proiettori e ottiche Panasonic. Un progetto del Comune di Rimini; system integrator ETT; ideazione, progetto artistico multimediale, messa in scena e direzione artistica: Studio Azzurro.
Dimenticatevi i musei che avete visitato fino a oggi: il Fellini Museum, inaugurato a Rimini nell’agosto 2021 e inserito dal Ministero della Cultura tra i grandi progetti nazionali per i beni culturali, è qualcosa di completamente diverso. Si articola su tre punti cardine del centro storico della città: Castel Sismondo, rocca del Quattrocento al cui progetto contribuì Filippo Brunelleschi; il Palazzo del Fulgor, edificio di origine settecentesca che ospita al primo piano il leggendario cinema raccontato da Fellini in Amarcord e oggi ricostruito grazie alle scenografie di Dante Ferretti (vincitore di tre premi Oscar); Piazza Malatesta, con i suoi spazi verdi, un’arena per spettacoli, installazioni artistiche, un sottilissimo quanto esteso velo d’acqua che rievoca il fossato del castello e una grande panca circolare, che ricorda il carosello finale di 8½.
La definizione di museo sta decisamente stretta a quella che potremmo definire un’enorme fabbrica di emozioni, armonicamente inserita nel centro cittadino. I curatori non hanno voluto semplicemente ricordare il genio di Fellini, e nemmeno celebrarlo, bensì farlo rivivere, intessuto nelle pietre stesse di Rimini.
Cercavamo una simbiosi con gli spazi: pochissimi interventi architettonici strutturali e invece una sorta di pelle, quasi invisibile, prodotta con videoproiezioni, che riveste di immagini gli spazi – L. Sangiorgi
Il culmine dell’esperienza immersiva offerta dal Fellini Museum si raggiunge negli spazi di Castel Sismondo – su cui ci concentreremo in questo articolo – dove il visitatore, non a caso ribattezzato ‘visitautore’ e ‘visitattore’, può interagire con oltre cinque ore di proiezioni, divise in frammenti e collocate all’interno di installazioni che evocano i set dei film di Fellini. Una sfida notevole per il System Integrator che, invece della classica parete frontale, si è trovato a dover proiettare su superfici frastagliate, schermi posti su altalene mobili, angoli di proiezione molto diversi (da molto stretti a molto ampi). Per ottenere di volta in volta il risultato migliore, si è dovuto far ricorso a diversi modelli della gamma di proiettori e di ottiche messa a disposizione da Panasonic.
Ne parliamo con Leonardo Sangiorgi, Direttore Artistico e Co-fondatore di Studio Azzurro, a cui è stata affidata l’ideazione, il progetto artistico multimediale, la messa in scena e la direzione artistica, e con Matteo Ventrella e Valentina Serando, rispettivamente CTO e Architetto di ETT, system integrator incaricato di realizzare il progetto e le installazioni multimediali immersive.
La sfida: creare un museo immersivo e interattivo, un autentico ‘generatore di esperienze”’
«Lo stile di Studio Azzurro – dice Sangiorgi – è caratterizzato da una simbiosi con gli spazi: quindi pochissimi interventi architettonici strutturali e invece una sorta di pelle, quasi invisibile, prodotta con videoproiezioni, che riveste di immagini gli spazi.
Oltre al rispetto dello spazio architettonico esistente, nel caso del Fellini Museum, ci siamo dati un secondo obiettivo ambizioso: trasformare il visitatore in ‘visitattore’ e ‘visitautore’, dargli quindi un ruolo attivo. I set che abbiamo ricostruito non imitano quelli dei film di Fellini, come fossero dei diorami, bensì li evocano, lasciando alle persone il compito di completarli con il proprio immaginario, di attraversarli secondo il percorso che preferiscono, in qualche caso anche di modificarli con i propri gesti».
Non c’è lo spazio, qui, per descrivere tutte le installazioni di Castel Sismondo, su cui come accennato ci vogliamo focalizzare con questo Case Study, ma alcuni esempi possono rendere l’idea.
«Nella stanza detta Stanza del Dolly – dice Sangiorgi – abbiamo montato un piccolo camioncino azzurro con un braccio dolly, come quello che compare nel film Roma: alla sommità del braccio, invece della cinepresa, ci sono i proiettori, che rimandano sulle pareti tutte le scene in cui Fellini ha usato il dolly (ovvero lo strumento che consente ai registi di ottenere movimenti orizzontali e verticali particolarmente complessi)».
La sala principale del castello è la cosiddetta Stanza del Mare: «Si tratta di uno spazio molto ampio, sostenuto da grandi pilastri, nel quale si celebra il mare così come Fellini usava ricostruirlo nello Studio 5 di Cinecittà, con un grande tessuto di seta azzurra. Sopra questo mare artificiale ci sono dei pontili, camminando sui quali i visitatori possono vedere la proiezione di tutte le scene dei film di Fellini dedicati al mare».
Ancora un esempio: la Sala della Sognante. «L’ultima sala del piano terra – racconta Sangiorgi – è la sala della sognante, interamente occupata da una scultura morbidissima che rappresenta una Anita Ekberg dormiente, lunga 12 metri e alta 2,5. Addormentata, Anita sogna le scene della Dolce Vita, che sono proiettate sulla parete di fronte».
C’è poi la Sala del libro dei Sogni, con un libro virtuale che si può sfogliare soffiando su una piuma; ci sono dei confessionali, nei quali gli amici e i collaboratori di Fellini parlano del regista; c’è poi una sala a doppia altezza che ospita quattro altalene, appese alle capriate del soffitto, che sorreggono schermi mobili su cui avvengono le videoproiezioni, schermi che iniziano a dondolare non appena la proiezione si interrompe.
Abbiamo scelto i proiettori Panasonic per la resa dei colori e del contrasto, necessari trattandosi di immagini cinematografiche, e il catalogo di ottiche molto ampio, utili a gestire le geometrie complesse del progetto – M. Ventrella
Sono solo alcuni esempi, ma bastano a rendere l’idea di quanto complesso sia stato il compito a cui si è trovato di fronte il system integrator per dare forma alla fantasia dei creatori del museo. Si trattava di individuare, per ogni singola sala (anzi, per ciascuna installazione di ogni singola sala) una soluzione diversa, un diverso modello di proiettore e di ottica, in modo da ottenere di volta in volta il risultato richiesto. A ciò si aggiungevano: la necessità di avere ogni volta la migliore resa dal punto di vista della colorimetria e dei contrasti (elementi fondamentali nel mondo del cinema), la difficoltà legata al fatto di operare in un luogo tutelato dalla soprintendenza alle belle arti, la necessità di minimizzare i rischi legati a eventuali malfunzionamenti.
Ascoltiamo da Matteo Ventrella e Valentina Serando di ETT il racconto di come questa sfida sia stata vinta.
La soluzione: precisione colorimetrica e una forte varietà di soluzioni
«Quando si lavora alla realizzazione di proiezioni immersive per un museo – spiega Matteo Ventrella – spesso capita che il committente ci affidi sia la progettazione sia la fornitura dell’hardware. In questo caso invece il progetto artistico esisteva già e a noi è stato chiesto di individuare e installare l’hardware migliore per realizzare le proiezioni immaginate da Studio Azzurro nelle varie sale».
«Ci siamo trovati di fronte alle geometrie più irregolari – aggiunge l’Architetto Valentina Serando, che ha curato la parte strutturale delle installazioni – Il proiettore non è quasi mai posizionato esattamente di fronte alla superficie di proiezione e nemmeno sullo stesso asse e il tipo stesso della superficie variava ogni volta, passando dalle pareti del castello a elementi scenografici. Ciò aggiungeva complessità alla complessità».
«Era inoltre necessaria – dice Ventrella – una precisione colorimetrica assoluta e una perfetta resa dei contrasti, dovendo proiettare parti di film di Fellini, nei quali il chiaroscuro è un elemento essenziale. Sia quest’ultima esigenza sia la necessità di far fronte alle difficoltà legate alla geometria del luogo ci hanno indotto alla scelta dei proiettori Panasonic, che da un lato hanno nella resa dei colori e del contrasto uno dei loro punti di forza, dall’altro offrono un catalogo di ottiche molto ampio, cosa che per noi era fondamentale per trovare di volta in volta la soluzione adatta alle diverse sfide che ogni sala del castello ci presentava».
Vediamo, sala per sala, quali sono state le soluzioni scelte da ETT.
La ricchezza del catalogo Panasonic sfruttata al massimo
Nella prima sala, dedicata a Giulietta Masina, sono presenti cinque proiettori, per una proiezione che si sviluppa per circa 270° su una superficie curva, composta da due pareti vicine raccordate da un telo di juta, per una lunghezza complessiva di circa venti metri lineari.
«In questa sala – dice Ventrella – abbiamo utilizzato i Panasonic PT-RZ690, con ottica zoom 0,6-0,8:1. Era importante avere ottiche corte o ultracorte, per evitare le ombre generate dai visitatori. C’è poi un sesto proiettore che proietta sulla volta della sala».
La sala successiva è quella del Dolly: «Qui – dice Ventrella – ab- biamo posizionato in cima al braccio Dolly quattro proiettori capaci di un Lens Shift e di una correzione trapezoidale molto importanti, dovendo operare in spazi strettissimi. Abbiamo utilizzato tre PT-MZ670, due con ottica 0,8-1:1 e uno con ottica 1.6-2.76:1 , in modalità portrait), un PT-RZ690 con ottica 0,6-0,8:1 (proietta su un arco di circa cinque metri di base, in modalità landscape); c’è inoltre un PT-MZ10, con ottica 0,48-0.55:1 che, sfruttando la retroproiezione, manda l’immagine in una nicchia di circa due metri di base per tre di altezza.
Nella sala dedicata al mare le proiezioni sono ben sette, tre in orizzontale e quattro in verticale. «Per quanto riguarda la proiezione orizzontale – dice Valentina Serando – la difficoltà è legata alle tre colonne centrali che dividono la zona in cui sono posizionati i proiettori da quella in cui avviene la proie- zione. Il fascio di proiezione passa infatti tra una colonna e l’altra, prima di raggiungere i tre schermi posti sul lato opposto».
Per quanto riguarda le proiezioni verticali, la richiesta della committenza è stata particolare: mentre infatti di solito si cerca di evitare che i visitatori proiettino la propria ombra sugli schermi, in questo caso si voleva che accadesse proprio il contrario e il risultato è stato ottenuto lavorando sul Lens Shift. I proiettori scelti per la Sala del Mare sono sei PT-MZ670 e un PT-RZ690.
Per avere un’idea completa di quali proiettori e quali ottiche siano stati scelti per far fronte alle sfide poste dalle diverse sale, potete consultare la tabella dedicata inclusa in questo articolo. Qui ci limitiamo a descrivere ancora una sala, forse la più complessa di tutte: la Sala delle Altalene, dove sequenze cinematografiche e materiali di repertorio sono proiettati su quattro schermi sorretti da altrettante altalene mobili.
«Le altalene – racconta Valentina Serando – sono posizionate al centro della stanza, mentre i proiettori PT-MZ670 sono ancorati a parete, ai quattro angoli della stanza. A biamo dovuto creare una sincronia fra le immagini proiettate e il movimento delle altalene: quando inizia la proiezione le altalene sono ferme, mentre al termine della scena le immagini sfumano e le altalene ricominciano a muoversi; a questo punto le immagini sconfinano su pareti e pavimento, creando un effetto onirico».
Semplicità di gestione dell’impianto
Può sembrare un paradosso, ma un sistema di proiezione così complesso e articolato può essere invece molto semplice da gestire.
«Seguendo il metodo che usiamo spesso quando lavoriamo per un museo – dice Matteo Ventrella – abbiamo dotato ogni sala di un proprio player (in questo caso BrightSign), che contiene nella propria memoria i contenuti da inviare ai proiettori e può essere sincronizzato con eventuali elementi scenografici. Non abbiamo, quindi, un server centrale che invia in streaming i contenuti ai proiettori: infatti in un contesto storico, tutelato dalle Belle Arti, come Castel Sismondo, i cablaggi sono sempre difficili da realizzare: gli impianti elettrici sono datati e non siamo liberi di aggiungere canaline e pavimenti flottanti. Anche la strada del Wi-Fi è poco praticabile, dato lo spessore dei muri del castello».
«Un ulteriore vantaggio di avere un player per ogni sala – aggiunge Ventrella – è che, in caso di malfunzionamento, il problema è limitato alla stanza in cui si verifica il guasto, mentre tutto il resto del museo continua a essere operativo. In ogni caso, tutti i proiettori del Fellini Museum sono comunque collegati in rete (PJLink), così da poterli monitorare da remoto, ricevere alert e intervenire in caso di bisogno».
Il system integrator che lavora in un museo deve inoltre sempre tenere in considerazione che, nei mesi e negli anni a venire, l’impianto non sarà gestito da personale specializzato e occorre quindi un sistema di gestione il più possibile semplice. Dice Matteo Ventrella: «Per evitare qualsiasi inconveniente, abbiamo realizzato un doppio sistema di controllo: c’è infatti una sala di controllo centrale, dalla quale è possibile gestire l’accensione e lo spegnimento di tutto il sistema; ma c’è anche la possibilità di controllare singolarmente ogni sala e ogni dispositivo.
Sia che si operi centralmente, sia che si operi sulla singola sala, il sistema si avvia semplicemente collegandolo alla corrente».
«Un altro elemento da non sottovalutare, dal punto di vista della gestione del sistema – conclude Ventrella – è la durata dei proiettori, e anche da questo punto di vista le notizie sono buone: «I proiettori Panasonic hanno tutti l’illuminazione laser, che peraltro, in ambienti bui come quelli del castello, non deve nemmeno essere sfruttata alla piena potenza, il che aumenta sensibilmente la vita operativa di ciascun proiettore, migliorando la performance dal punto di vista del TCO (Total Cost Of Ownership)».
Persone intervistate
Leonardo Sangiorgi
Direttore Artistico e Co-fondatore di Studio Azzurro
Matteo Ventrella
CTO, ETT
Valentina Serando
Architetto, ETT
Link utili
fellinimuseum.it | ettsolutions.com | studioazzurro.com | panasonic.net/cns/projector