Passiamo in rassegna i benefici creati da un line-array, come la copertura omogenea in SPL, la risposta in frequenza, la costante risposta al feedback da microfoni aperti e la riduzione di problemi dovuti a riflessioni.

L’impianto audio in un’installazione fissa, troppo spesso viene considerato un elemento di secondaria importanza. Il più delle volte ciò è dovuto a un semplice fattore intrinseco del suono, che non può essere ‘renderizzato’ e ‘presentato’ come, ad esempio, è possibile fare per la finitura di una parete, la forma di una lampada o di una sedia.
È doveroso, però, tenere in considerazione una cosa: la maggior parte degli ambienti dove architetti e integratori sono chiamati ad esprimere il meglio di se stessi sono ambienti di comunicazione sonora, dove la qualità della componente audio è fondamentale: questo fatto ci porta a considerare come prioritario il fattore ‘suono’.


Ragioni estetiche o di costo

Essendo l’audio un elemento così caratterizzato, spesso ci troviamo ad affrontare il problema d’accettazione dell’impianto da parte del committente, meramente legato a ragioni estetiche o di costo.
Le ragioni, estetica e costo, rappresentano due condizioni difficilmente concomitanti: solitamente chi dà priorità all’estetica lo fa a scapito del costo e a volte, purtroppo, anche a svantaggio del risultato finale. Vi sono casi estremi dove la situazione che si crea è così critica da non poter essere risolta perché non sono disponibili attrezzature capaci di sopperire ai problemi intrinseci della location.
Oppure, si possono incontrare situazioni difficili, dove sono richiesti esplicitamente un impatto visivo e ingombri minimi, che si uniscono a problemi di budget limitati. In questi casi l’integratore deve attingere a tutta la propria conoscenza per eseguire, in ogni caso, un lavoro soddisfacente.


Fuori tempo limite

Una delle lamentele più ricorrenti evidenziata dall’integratore di sistemi riguarda proprio il fatto che spesso si viene coinvolti nel lavoro quando molte decisioni sono state prese. Nonostante tutto, bisogna comunque soddisfare la committenza anche quando si hanno a disposizione risorse ridotte ai minimi termini, sia per i materiali che per le ore lavoro uomo. Per affrontare un progetto è opportuno fare le seguenti riflessioni:
– Come è disposta la sala;
– Come e dove possiamo posizionare i diffusori;
– Quale utilizzo dovrà avere la sala;
– Qual è il rapporto spesa/estetica/qualità a disposizione.
In questo modo potremo ragionare le nostre scelte, specifiche per l’impianto da realizzare.


Perché un line array può essere la soluzione?

Figura 1A
Figura 1B

Consideriamo line array qualunque diffusore (o insieme di diffusori) che disposti in array vadano a formare un’emissione cilindrica, in un range di frequenze abbastanza estese da essere effettivamente sfruttabili nella realtà. Una sorgente lineare che crea un’onda cilindrica ha diversi benefici:

Copertura omogenea di una sala in SPL e in risposta in frequenza
Questo avviene per il principio con cui si accoppiano le diverse sorgenti dell’array. Semplificando molto il concetto, nella pratica possiamo dire che nonostante l’ascoltatore si allontani dall’array dei diffusori, avremo comunque un maggior numero di altoparlanti che lo raggiungono. Viceversa, all’avvicinarsi dell’ascoltatore alla sorgente, sempre meno diffusori contribuiranno al suono che lo raggiunge. Ipotizziamo un array lungo 2 metri e, come riferimento, una banda di frequenze medie (800 ÷ 3.000 Hz): il punto più vicino dove possiamo apprezzare l’intera emissione di tutto l’array di sorgente è a circa 10 metri di distanza dalla sorgente stessa.
Questo non significa che a 10 metri si avrà il punto di massima emissione, cioè di SPL, ma vuol dire che in una qualsiasi posizione inferiore ai 10 metri l’ascoltatore avrà su di se il fuoco di una porzione sempre più limitata di sorgenti, quindi non subirà il normale effetto di aumento di volume tipico di un diffusore tradizionale point-source.
Semplificando ancor più questo concetto possiamo dire che l’ascoltatore seduto nelle ultime file sarà in grado di sentire bene allo stesso modo dell’ascoltatore seduto in prima fila perché il suono verrà distribuito con uniformità su tutta la superficie. Diversamente la prima fila sarebbe investita da un volume troppo elevato e quindi fastidioso.

Risposta costante al feedback da microfoni aperti
Se è chiaro il significato del paragrafo precedente, allora questo effetto avviene di conseguenza. Un microfono, fondamentalmente, è un ascoltatore; quindi, come l’ascoltatore può apprezzare una copertura costante e uniforme del suono nella sala, così potrà fare il microfono.
Ciò si tramuterà in un punto di feedback praticamente identico in tutto l’ambiente, sia che il relatore parli dal podio oppure che si muova fra le poltrone della sala.
Ovviamente, ci sarà sempre un punto di feedback, considerando anche eventuali riflessioni generate da pareti e superfici nell’ambiente; solitamente, però, un sistema formato da PA + microfoni risulterà molto più controllabile e stabile di un sistema PA composto da molti diffusori point-source.

Riduzione di problemi dovuti a riflessioni provenienti da pavimenti e soffitti
Creare un array, nel nostro caso un line array verticale, porterà ad avere una riduzione dell’emissione verticale dello stesso (stiamo creando un’onda cilindrica e non più sferica) quindi il suono non si disperderà più anche sull’asse verticale.
Il tutto si traduce in una riduzione drastica di onde che andranno a perdersi o a riflettere contro pavimenti lucidi in marmo, soffitti a volta o tutte quelle superfici critiche che contribuiranno al disturbo della nostra sala conferenze.


Perché oggi si può?

Figura 2A
Figura 2B

Le prime teorizzazioni e gli esperimenti su array di altoparlanti risalgono alla fine del 1800, primi del 1900. Nelle chiese, ad esempio, sono ampiamente usate da sempre, con una qualità non sempre adeguata. Inoltre, nel recente passato (alcuni decenni) ci siamo abituati a vedere grandi line array nei concerti live che si tengono in spazi aperti, come stadi di calcio o grandi piazze. In effetti, per questi eventi possiamo affermare che viviamo in un periodo dove il line array è in voga. E allora perché non mettiamo un bel cluster da 12 elementi anche nella nostra sala conferenze? Soprattutto per un problema di spazio (non ci entrerebbe) oltre al fatto che l’architetto non ci troverebbe d’accordo.


Il ruolo dell’elettronica e dei materiali

Figura 3A
Figura 3B

Le soluzioni che oggi possiamo adottare sono state realizzate sfruttando lo sviluppo di due know-how specifici: le elettroniche di pilotaggio e i materiali dei trasduttori. I diffusori line array possono riprodurre gamme di frequenze sufficientemente ampie con volumi che ne permettono un utilizzo persino in concerti di musica live, grazie ai materiali con cui possiamo costruire trasduttori e diffusori, e alle elettroniche che consentono di processare i segnali con particolare efficacia.
Stiamo parlando di array composti da trasduttori wide-range, che si occupano di riprodurre un’ampia gamma di frequenze; fondamentalmente potremmo parlare di diffusori mono-via.
Una caratteristica interessante che si riscontra in questo tipo di diffusori è la risultante delle medie dei singoli componenti, che produce una risposta finale piuttosto omogenea. Dobbiamo considerare che ogni componente, ogni trasduttore, possiede minime caratteristiche di unicità che lo fanno suonare lievemente diverso l’uno dall’altro: differenze nell’ordine del 2÷5%. Con un insieme di trasduttori che operano all’unisono, queste percentuali si riducono drasticamente per il fatto che le disuguaglianze sono casuali e si annullano reciprocamente. Questo ci permette di avere diffusori con una timbrica uniforme e costante.


Cosa succede in realtà

Fino ad ora abbiamo passato in rassegna, sulla carta, i vantaggi e le caratteristiche dell’approccio line array compatto; adesso proviamo ad immaginare cosa succede in un’applicazione reale. Ipotizziamo una sala profonda 25 metri, larga 15 e alta 4 metri, con superfici in cemento.
Come si vede in Figura 1a e 1b, la soluzione ottimale prevede l’utilizzo di cluster di almeno 2 metri. Un cluster a 0° funziona, ma crea inutili riflessioni dalla parete a fondo sala.
Come possiamo vedere da queste immagini, la polare verticale del cluster è molto stretta, ciò rende indispensabile un corretto puntamento dei diffusori. Qualche grado di troppo o in meno può determinare una copertura non adeguata di parte della sala. Un corretto puntamento ci permette anche di evitare inutili emissioni sulla parete di fondo sala, riducendo il numero di riflessioni che verrebbero create di conseguenza. Le Figure 2a e 2b riportano il risultato di un Cluster a -4°, che risulta ottimale.
In Figura 3a e 3b, invece, il Cluster orientato a -10° genera una copertura soddisfacente solo per metà sala.
Un’installazione di questo tipo richiede l’utilizzo soltanto di due punti audio. L’installazione e il cablaggio ne beneficeranno perché dovremo dove portare cavi e fissare staffe al muro in solo due punti. Non sarà necessario disporre di unità delay.
Solitamente questi diffusori riescono a scendere fino a 150/120 Hz in maniera sufficientemente lineare; questa estensione consente di gestire tutta la parte ‘vocale’ dagli array. Dovremo, però, aggiungere uno o due diffusori per riprodurre le frequenze basse e garantire un risultato veramente full range che permetta di riprodurre con un bell’impatto anche eventuali contributi musicali provenienti da presentazioni e video. In un prossimo articolo affronteremo tematiche legate al dimensionamento e al posizionamento di un subwoofer.

Si ringrazia per il contributo Francesco Maffei, Product specialist di K-array s.u.r.l.